Metti una domenica mattina a Napoli, magari in buona compagnia e speranzoso che la pioggia smetta di abbattersi sui tuoi buoni propositi di giornata.
Ti svegli alla buon'ora per mettere su un buon caffè, quello della moka, così come ti è stato insegnato da tua madre (napoletana trapiantata a Pagani) e dalla buon'anima di tua nonna (napoletana e basta!).
Eh sì, chi mi conosce sa bene che questa introduzione in seconda persona, in realtà, è un piccolo estratto della mia vita, cominciata trentuno anni fa a Borgo San Lorenzo, nell'ospedale di Loreto Mare. Non ho mai nascosto il rimpianto per non aver mai vissuto pienamente le mie origini partenopee, dato che sono stato sempre troppo impegnato a combattere battaglie perse altrove e forse anche perché sono stato troppo influenzato dalle male lingue che affliggono la città più bella del mondo, vittima a mio avviso di una campagna di demonizzazione effettuata nei minimi particolari con una precisione che supera ogni livello di meticolosità e diabolicità.
Il mondo però è così: l'oro viene trasformato in merda e la merda in oro. A Napoli è capitata ovviamente la prima nefasta cosa.
Come dicevo, dunque, un po' per rivivere le mie origini e un po' (anzi soprattutto, perché non ammetterlo) per altro, mi sono alzato presto per prendere il caffè e sfidare il maltempo, convinto che la mia blasfemica psicologia potesse agire sui meccanismi climatici e meteorologici dell'ultima domenica di novembre: ho avuto ragione! (gli amici di Roma ricorderanno il Miracolo della Pontina).
Doccia rilassante, profumo leggero, maglioncino nero e giubbotto verde a "bombolone" per poi recarmi alla stazione ferroviaria di Pagani e prendere il treno delle 08:53 per Napoli, direzione Piazza Garibaldi. L'odore delle erbacce bagnate e del terreno umido presto sarebbero stati sostituiti dal profumo delle pescherie e dalla fragranza delle sfogliatelle e delle frolle napoletane. Una volta a bordo, dopo aver superato la fermata di Pompei, mi sono proiettato con la mente nei vicoli del centro storico di Napoli dove la gente ti chiama per comprare il pesce fresco, per regalarti un corno, per consigliarti i numeri da giocare al lotto o per il semplice gusto di salutarti pur non conoscendoti.
Dal mio posto, all'altezza di Santa Maria La Bruna, un'enorme distesa d'acqua marina si muoveva agitata, ma elegante, lungo la costiera che costeggiava il lato dei binari: non vedevo l'ora di arrivare laddove tutto per me ebbe inizio. E proprio mentre continuavo a pensarci, ecco che una voce meccanica mi ridesta dal mondo dei sogni e mi invita ad alzarmi perché giunto a destinazione. Piazza Garibaldi è cambiata, è cresciuta, si è sviluppata e ogni volta che l'ho frequentata non ho mai notato quelle condizioni di degrado, abbandono e delinquenza di cui alcuni mi accennarono. Gli extracomunitari? Quelli ce ne sono a bizzeffe ovunque e poi magari fossero davvero loro il problema di Napoli e dell'Italia, ma così non è e i motivi non sto qui a spiegarveli.
La Linea 1 della Metropolitana di Napoli è un'altra cosa, anzi è proprio un altro livello. Il percorso che conduce ai binari della linea Garibaldi/Piscinola sembra una lenta e inesorabile discesa verso un mondo nuovo, sconosciuto che però non ha nulla a che vedere con l'Inferno, anzi sembra il preludio a qualcosa che si avvicini non al Paradiso ma a un piano che di certo porta qualche messaggio rivelatore. Ricordo le peculiarità della stazione Toledo, così come le scarpiere della stazione Dante ed è stato proprio a piazza Dante che ha avuto inizio la mia giornata.
Inutile descrivere quell'area: sarebbe inutile parlare di qualcosa che parla benissimo da sé. La mia compagnia era in ritardo e siccome a me le attese non sono mai piaciute, ne ho approfittato per incamminarmi lungo i vicoli e i vicoletti di quell'ala del centro storico di Napoli, proprio alle spalle di Piazza Dante, tra via San Giuseppe e via San Lorenzo. Proprio in quest'ultimo luogo, ho trovato una varietà di essere umani che però parlavano la stessa lingua: quella della meraviglia. Non solo campani, ma anche forestieri di altre regioni e nazioni che evidentemente conoscevano per bene il vero volto di Napoli, infischiandosene delle mille cavolate e del fenomeno Gomorra. Ho visto gente con il rolex, giapponesi con macchine fotografiche professionali, ragazzine viziate con gli iphone in bella mostra intente a fingersi Frank Capra di turno ma una cosa era certa: i rolex, le macchine fotografiche e gli iphone erano sempre lì a loro posto.
A destra e a sinistra vedevo pizzette, graffe, sfogliatelle, frolle, calzoni fritti e al forno, mentre i mercanti del pesce si affacciavano dai portici per studiare la situazione e prepararsi all'ondata.
Gli ingressi per Napoli sotterranea erano stracolmi di persone in fila. "Non ci entrerò mai", ho pensato tra me e me. In effetti, alla fine non ci sono andato per paura di non farcela (a godermi la giornata intendo).
Eppure, io sapevo fin dall'inizio perché ero lì. Ero giunto fino a quel punto per incontrare lui, l'eroe incontrastato di quell'area, colui che è diventato la leggenda di via Atri, cioè il mitico Topolino.
Antonio Borrelli, il vero nome di Topolino, è un simpatico signore tra i cinquanta e i sessant'anni, ormai solito a intrattenere il vicinato e i turisti cantando i classici della musica napoletana utilizzando un vero e proprio impianto stereo con tanto di microfono. Sarebbe da sciocchi non pensare alle beghe di quartiere e giudiziarie che il buon Topolino abbia dovuto affrontare per quella sua particolare manifestazione pubblica (credo proprio anche in termini di business), ma Napoli è anche questa e molte persone sono lì anche per lui.
Dopo il mio breve ma intenso giro di piacere, torno a Piazza Dante e mi accomodo su una solida panchina in marmo. Vicino a me si siede un signore sulla quarantina, baffi biondini e occhi azzurri, con un ombrello rosso in mano e pantaloni rovinati. Questo signore, Francesco, mi parla del vizio di fumare e mi racconta alcuni particolari della sua vita.
"Devi sapere che i nostri polmoni sono pieni di buchi. Ogni buco è propenso a una determinata malattia e il fumo che noi inaliamo appila quei buchi e provoca seri danni alla salute"
Non ne capisco molto di medicina e corpo umano, però non mi interessava nemmeno sapere se Francesco dicesse la verità o il falso. L'unica cosa che provavo era il piacere di conoscere un figlio di quella terra, con i suoi pargoli speciali e i suoi bimbi sperduti. Francesco era stato probabilmente un bimbo sperduto ma sapeva il fatto suo, infatti, lavorava nella cucina di un ristorante in qualità di aiutante del cuoco.
Da buon napoletano che si rispetti, finisce a parlare di calcio e mi racconta le sue emozioni ai tempi di Maradona, ricordando l'ultimo scudetto partenopeo vinto due anni fa... due anni fa? Vabbè, Francesco era un po' confuso, non nego che forse avesse dei problemi ma non posso nemmeno fare a meno di notare che sia un tipo originale, particolare e capace di intrattenere la gente nonostante il suo aspetto lasciasse intendere altro. Mi ha fatto accendere nonostante avesse smesso di fumare da sette anni, mi ha stretto la mano come se mi avesse sempre conosciuto e non ha esitato a raccontarmi la storia di suo zio quando il Napoli vinse il secondo campionato.
Alla fine, la mia compagnia arriva e il resto viene da sé. Via Toledo, Via Roma, Galleria Umberto, il caffè buono in tutti i bar e la pizza di Starita a Materdei.
Citando Al Pacino nel film "Donnie Brasco": che ve lo dico a fare!
Napoli ha sicuramente problemi con la camorra e questo è innegabile. Tuttavia, sostenere che tutto il capoluogo campano abbia problemi di quel tipo è una conclusione azzardata e diffamatoria, in particolare nel cuore della città, famosa per tante cose di cui però nessuno parla. Ricordate soltanto una cosa: Gomorra è un'altra cosa.
Grazie per questo tour, tra zone bellissime e personaggi pittoreschi (è gente come Topolino che rende Napoli unica!).
RispondiEliminaOvviamente lo sappiamo, Napoli non è quella che vogliono raccontare per forza, e che fa più scena per fiction :)
Moz-