"I primi cento" di Guglielmino, Scali e Costarelli: un attento saggio a fumetti su Dylan Dog raccolto in un albo edito da Weirdbook.
I primi cento di Dylan Dog attraverso la vita di Damien Donovan
"I primi cento" non è un fumetto scontato, anzi si prefissa come una storia con uno scopo ben preciso, cioè ricostruire la storia del mito e della "caduta" di Dylan Dog attraverso un interessante saggio a fumetti. Perché parto così sparato con questo articolo? I Primi Cento, scritto e disegnato dal trio Guglielmino/Scali/Costarelli, è senza dubbio un'opera molto coraggiosa e per nulla semplice, anzi è molto più complessa di quel che sembri dato che non si pone come un rifacimento, critica o parodia dell'OldBoy, bensì come una chiave di lettura diversa dal solito, un modo di omaggiare e mettere anche in discussione l'indagatore dell'incubo nel suo percorso editoriale che l'ha reso prima un'icona di culto di fine XX secolo, poi un personaggio incomprensibile e quasi odiato. Le avventure a fumetti di Dylan Dog hanno fatto la storia della nona arte italiana, specialmente dopo aver visto i fatti narrati da Tiziano Sclavi (suo ideatore) nei famigerati primi cento albi della testata edita da Bonelli. Ma cos'è successo dopo? Come ha fatto il rapporto tra eroe e (alcuni) lettori a dilatarsi così tanto da costringere quest'ultimi (sempre alcuni eh) a non proseguire più la collezione o peggio ancora a portarla avanti "giusto per"? Da dove partire per ricostruire con raziocinio tutte queste cause?
La trama vede protagonista Damien Donovan, un detective dell'occulto che vive e lavora a New York "da qualche parte negli anni Ottanta". Abbiamo quindi la controparte di Dylan Dog, cioè Damien il quale indossa sempre un completo bianco e porta i lunghi capelli biondi come un divo degli anni '80 (assomiglia un po' a James Spader), mostrandosi al pubblico come un tipo affascinante, sensibile, vegetariano e astemio. Inoltre, è spesso accompagnato dal suo fedele assistente Smiley che assomiglia per filo e per segno a Roberto Benigni. Come ormai tutti sappiamo, Dylan Dog è moro, porta i capelli corti, è ispirato a Rupert Everett ed è passato alla storia per il suo inconfondibile abbigliamento composto da camicia rossa, jeans e giacca nera. Anche l'inquilino di Craven Road è fascinoso, sensibile, astemio e vegetariano ma i più lo ricorderanno un po' meno "stronzo" rispetto alla sua trasposizione critico-analitica. Come visto per Smiley, anche Groucho (spalla di Dyd) nasce dalla matita di Tiziano Sclavi prendendo come spunto un comico, per la precisione l'attore statunitense Groucho Marx: entrambi hanno una comicità molto particolare, basata su battute a effetto e freddure esilaranti. Dylan Dog usa l'imprecazione "giuda ballerino", così come anche Damien che ne ha due (una legata agli anni d'oro dei primi cento, l'altro coniato dopo). Dylan Dog è un fumetto nato nel 1986 e "I primi cento" è ambientato nel medesimo decennio ma in un periodo non specificato.
La nostalgia verso il vecchio Damien è tale da indurre un misterioso killer a travestirsi come uno dei suoi storici nemici e a ripercorre i casi trattati nelle sue prime avventure. Il tutto avviene in una New York molto vintage, intenta a inserire anche altri simboli di un'epoca ormai lontana (come riscontrato anche sulla bellissima copertina di Luciano Costarelli). Per il resto, Damien ha molto altro in comune con Dylan: un acerrimo nemico pericolosissimo (Xarabas/Asmodeus), una frase di rito prima di impugnare la pistola, un passato nella polizia, un ispettore come mentore, hanno tariffe elevate e hanno combattuto contro diverse tipologie di mostri. Probabilmente, da quello che ho potuto capire i due si differenziano un po' nelle capacità, infatti Damien fa riferimento alla scuroveggenza, mentre Dyd prima di affidarsi al suo sesto senso cerca di capire se i suoi casi siano effettivamente privi di razionalità.
Osservando il fumetto "I primi cento" nella sua fisicità, è bello vedere che la copertina somigli tanto a quelle dei primi numeri dell'indagatore dell'incubo, così come il frontespizio che vede Damien accompagnato da un'orda di avversari che si presumono storici. L'impaginazione e lo stile delle tavole e dei disegni non possono far altro che rimandare (laddove possibile) allo stile del maestro Tiziano Sclavi. La differenza con la testata originale sta nel formato e nella qualità delle pagine che per motivi editoriali non ha potuto mantenere pienamente le proprietà del bonellide per eccellenza. La casa editrice de "I primi centro", la Weird Book Comics, ha comunque stampato un prodotto qualitativamente buono, direi anche molto resistente è adatto a una libreria con poco spazio.
No, non abbiamo detto tutto, anzi ci sono molte cose da aggiungere. Damien si muove lungo le 100 pagine dell'albo affrontando non solo i fantasmi del suo passato ma andando incontro alle critiche dei suoi fan, i quali lo accusano di essere cambiato, di non essere più lo stesso e di aver tradito tutti coloro che lo avevano amato durante le avventure de "I primi cento" volumi della sua collezione. Tuttavia, gli autori riescono a immedesimarsi in qualche modo nei panni di Sclavi e riescono indirettamente a ridare vita a Dylan Dog grazie al personaggio di Damien: questi, da arrogante figura decadente della tv, riesce a recuperare tutti i suoi valori autentici e a buttarsi in un thriller che lo vede soffrire ma in qualche modo uscire con una vittoria. Del resto, i grandi investigatori del fumetto hanno avuto bisogno perfino di una buona dose di fortuna per scampare alla morte e risolvere i delitti più difficili e questi particolari hanno fatto parte (come altri) dell'escalation di consensi di Old Boy.
C'è una battuta ne "I primi cento" dove Damien dice di sentirsi" sopraffatto dagli eventi... come se la mia storia la stessero scrivendo le persone sbagliate". Non è chiaro sapere a chi o a cosa gli autori si siano rivolti e non spetta certo a me scoprirlo ma, da lettore, questa frase potrebbe essere interpretata come una delle possibili critiche che hanno portato alla tanto contestata involuzione di Dyd dopo quel maledetto gennaio 1995 (Dylan Dog 100, La storia di Dylan Dog). Il trovarsi faccia a faccia con la realtà e gli ammiratori ha costretto Damien a dover fare i conti con un amaro presente, in un'epoca in cui il suo essere figlio degli anni '80 rischia di compromettere il suo ingresso nelle nuove epoche e a far fatica a rispolverare il suo vecchio "sé". Ben presto il protagonista verrà scaraventato in un vortice di paradossi che metteranno in risalto il rapporto di amore/odio da parte dei fan, con conseguente impotenza integrativa verso i lettori del domani. Non per nulla, erano meglio "i primi cento" e senza quelli (peggio ancora se seguiti da altri 300 non reputati all'altezza) si rischia davvero di non andare da nessuna parte.
Eh sì! "Erano meglio i primi" cento! Tale espressioni l'abbiamo pronunciata tutti, a partire da coloro che hanno perso ogni speranza fino a giungere ai più romantici. Andrea Guglielmino lo sa bene e in questa opera pone l'accento proprio su questa situazione apparentemente irreversibile. È successo e continua a succedere a Dylan Dog, uno dei personaggi più iconici degli anni '80 e '90, capace di diventare un simbolo di culto anche oltre i confini europei. L'opera del geniale Tiziano Sclavi ha lasciato il segno soprattutto dopo la conclusione della trama principale alla fine dei primi cento numeri, quelli considerati leggendari e ancorati alla giovinezza ormai andata di molti sostenitori. Da anni è possibile ascoltare sempre la stessa musica, cioè che dopo "i primi cento Dylan Dog non è più lo stesso". Le storie sono considerate fiacche, il personaggio depotenziato e la testata vittima dell'attenzione di troppi autori e qualche curatore non considerato adeguato al proseguito del piano editoriale.
Niente è più lo stesso e su certi aspetti, secondo lo stesso Guglielmino, questo è vero perché i miti come Dylan Dog sono mutevoli nel tempo e per natura, devono necessariamente cambiare per adattarsi al contesto storico che "sono chiamati a fondare e orientare". Lo sceneggiatore ci tiene a sottolineare questo aspetto non solo nella storia ma anche in una colta, attenta e ragionata introduzione (chi lo conosce sa quanto sia bravo nella saggistica). Il problema, ciò che i fan di OldBoy non capiscono e questo discorso non vale soltanto per lui. Il nostro modo di vedere le cose e di approcciarci ai fumetti è il primo a dover sottoporsi, inesorabilmente, a dei mutamenti nel corso degli anni: lo scopo de "I primi cento", scritto da Andrea Guglielmino e Marco Scali e con i disegni di Luciano Costarelli, consiste proprio nell'indagare su questo tema.
Naturalmente, per omaggiare e difendere Dylan Dog è stato anche necessario criticarlo, accusarlo, metterlo in discussione partendo proprio dai suoi punti di appoggio più forti in riferimento alla percezione che i lettori hanno di esso: da qui bisogna iniziare per fare un viaggio profondo dentro noi stessi e capire che forse il problema può essere capito meglio se iniziassimo a mettere in discussione proprio noi in quanto lettori. Per comprendere tutti questi particolari e doveroso analizzare in che modo i primi cento siano meglio dei loro successori, delineare i concetti di "meglio" e "peggio" rispetto al nostro rapporto con il passato e alle nostre aspettative sul futuro. Per questo motivo, l'invenzione di Damien Donovan va sfruttata come uno "specchio che rispecchia un altro specchio" utile a capirci meglio: in sostanza, per quanto un'opera possa lasciare a desiderare, c'è da dire che i lettori spesso rischiano di essere il peggiore incubo di un personaggio proprio perché pretendono il rispetto del suo ruolo. Secondo Guglielmino tali pretese rischiano di essere pericolosissime, soprattutto se sfociano nel fanatismo più estremo.
"I primi cento" è un albo che va apprezzato perché, come detto in precedenza, non è un semplice omaggio o una comune parodia di Dylan Dog. Trattasi di un esperimento che di sicuro abbiamo già visto tante volte nel fumetto statunitense, mentre in Italia è un'operazione poco diffusa. Ad esempio, leggendo il capolavoro di Alan More Watchmen, in quanti abbiamo visto in Gufo Notturno una differente visione di Batman? Questo è solo il primo di una lunga lista di riletture che con il passare degli anni hanno visto coinvolto anche il cinema (nella pellicola "Birdman" di Alejandro Gonzales Inarritu) e che ora arrivano sulle pagine di un albo edito dalla coraggiosa Weird Book.
Gli autori de "I primi cento" hanno voluto ricorrere a tale stratagemma anche per raccontare qualcosa di Dylan Dog, attraverso gli occhi di Damien che non sarà uguale al cento per cento al nostro Old Boy ma servirà sicuramente a fargli pensare e a fargli dire molte cose che non può fare in maniera diretta per motivi legati naturalmente ai diritti sul personaggio.
«In generale, non amo dare un ‘senso’ all’opera perché credo che, se l’opera è ben riuscita, debba essere il lettore a trovare il suo. ‘I primi cento’ - spiega Guglielmino durante una nostra conversazione - ha ricevuto apprezzamenti sia da chi è d’accordo con la tesi che i primi cento numeri di Dylan Dog siano i migliori, sia da chi la confuta. Ma soprattutto, “i primi cento” sono un luogo della nostra anima, dove tutto è percepito bello e pulito perché tendiamo a dimenticare le macchie. C’è una battuta di Smiley, l’assistente di Damien Donovan, che parla di caffè macchiato e forse si riferisce proprio a questo».
«Non vi dirò mai - prosegue l'autore - se io penso che i primi cento numeri di Dylan siano i migliori o meno, anche perché non lo so nemmeno io. Pensa che fino a poco prima di scrivere questo fumetto, ero convinto che uno dei miei albi preferiti, ‘Finché morte non vi separi’, facesse parte dei primi cento. Ma è il numero 121, invece».
E ancora: «Considera poi che questa, pur nascendo da una mia idea, è un’opera scritta a quattro mani insieme a Marco Scali, quindi si fonde il mio punto di vista con il suo, al punto che nessuno di noi due sa cosa appartiene all’uno e cosa all’altro.E ci siamo sforzati di mettere in discussione prima di tutto noi stessi, come autori ma anche come lettori. Hai presente quei due hater pedanti che poi Costarelli ha disegnato somiglianti a Beavis & Butthead? Ecco, in una prima indicazione di sceneggiatura eravamo io e Marco! Probabile anche noi abbiamo pronunciato qualche volta la frase “erano meglio i primi cento!”, ma se ci credessimo davvero, chissà. È come dire “si stava meglio quando si stava peggio”. Senza tirate in ballo il Duce e i treni che arrivavano in orario, si capisce subito che è un’esternazione di rabbia nostalgica che nasconde altro».
Infine: «Quello che è veramente interessante è analizzare cosa abbiamo perso, cosa ci manca davvero di quegli anni, e a un livello più profondo… non sono mai le storie di Sclavi o i film che guardavamo al cinema, o i dischi che ascoltavamo. Ci mancano le persone con cui lo facevamo, ci manca farlo senza dover pensare al domani, o ai problemi personali o generali che ci circondano. Credo di essere uscito da questa fase quando è scoppiata la guerra nel Golfo. Lo ricordo come se fosse ieri. Mi avevano appena comprato un Gameboy, e ne ero strafelice… ma mentre giocavo a Super Mario Land e Tetris le musichine tintinnanti si confondevano con la sigla di Studio Aperto che documentava il rapimento di Bellini e Cocciolone… era straniante. E pian piano la mia infanzia ha iniziato a perdere pezzi. Nel finale Damien si rende, forse, conto di essere “agito” da forze più grandi di lui… è una frase ambigua, volutamente. Può significare che si è lasciato corrompere dalle esigenze di un fandom troppi invadente, o magari da autori - come dicevamo, i primi a mettersi in discussione - incapaci di scrivere per lui una storia adeguata. O magari percepisce che questa storia avrebbe potuto comparire sulle pagine di un’altra testata… perché ovviamente, era stata scritta in origine proprio per Dylan Dog. Tra l’altro, è anche un omaggio diretto al fan film su Dylan ‘Vittima degli eventi’, dove recita il mio amico Valerio Di Benedetto. Ma sono solo ipotesi. L’interpretazione giusta è quella che dà il lettore. È un suo diritto».
Andrea Guglielmino ci offre un altro pezzo pregiato della sua produzione come autore, senza disdegnare le dovute precauzioni ragionative su un lavoro complesso che forse ha bisogno di molte presentazioni per essere compreso pienamente dai fedelissimi del primo Dyd. "I primi cento" va considerato come un pezzo di alta scuola, qualcosa che potrebbe essere inserito nei corsi per fumettisti (o amanti) per cercare di aprire la propria mente verso opere del passato. Questo numero mi ha aperto gli occhi e mi ha fatto ricordare gli anni in cui pensavo che "certe cose non possono essere eterne" ma, nel contempo, non possono nemmeno morire per tranciare le gambe a cambiamenti inesorabili. Ho sempre creduto che Dylan Dog (e ancora prima Diabolik di Astorina) avrebbe dovuto concludersi proprio con i primi cento ed essere più volte recuperato nel tempo attraverso ristampe, trasposizioni televisive e altro. La mia esperienza mi convince sempre di più che il problema di Dylan Dog non siano soltanto i lettori di ieri che non riscontrano più il fascino di un tempo, bensì il fatto che non sia stato reso appetibile per gli anni 2000: spesso penso che una serie tv o un film fatto bene, un cartone animato o nuove sottotrame basate sugli anni d'oro, avrebbero potuto tenere in vita un mito straordinario e permesso alle storie postume di essere meglio tollerate. È innegabile che probabilmente non abbiamo diritto di contestare le scelte di Bonelli e dei vari curatori susseguitisi, del resto Dylan Dog è loro e avranno le loro ragioni per portarlo avanti in un certo modo. In conclusione, guardando al passato e vedendo come stanno le cose oggi, mi convinco che certi capitoli della vita debbano andare semplicemente in un certo modo.
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